#CinqueSensi. Siamo sicuri che siano solo gusto, olfatto, vista, udito e tatto a guidarci?
Aggiornamento: 23 dic 2020
I sensi li sviluppiamo prima della nascita.
Già nella pancia, il feto accresce le capacità di gusto e olfatto.
Tutto questo è meraviglioso e sembra quasi fantastico, eppure accade per davvero che il bimbo in grembo sia continuamente stimolato da odori e sapori che vengono trasportati attraverso il liquido amniotico nel quale si trova immerso.
Nelle prime settimane si ha la formazione degli organi di senso, gli attori principali del processo di interazione, a diversi livelli, dell’uomo rispetto al mondo che lo circonda.
Il naso è il primo organo a formarsi sebbene, il senso del tatto si sviluppa in anticipo. Secondo le osservazioni fatte si ipotizza che il senso dell’olfatto, comparso così precocemente nel feto, consenta al bambino di assicurarsi una prima conoscenza del mondo e instaurare un continuum rispetto alla vita che gli attende al di fuori della pancia della madre.
Riconoscere, soprattutto, l’odore della mamma diventa fondamentale per affrontare con maggiore serenità la vita non solo, questo stimola la capacità di creare ricordi che diventano il bagaglio per l’esistenza.
A seguire, appaiono le papille gustative che raggiungono la funzionalità in circa sette settimane.
È bello osservare come, subito dopo il parto, l’istinto del neonato si manifesta attraverso questi due sensi: se il bimbo viene lasciato sulla pancia della mamma, appena nato, sarà lo stesso a ricercare i capezzoli guidato dall’odore della madre e del latte.
I sensi ci consentono di sentire a pieno la vita, di emozionarci con tutto il nostro corpo.
Per tradizione associamo i cinque sensi alla vista, il gusto, l’udito, l’olfatto e il tatto.
Nella realtà però diventiamo consapevoli del mondo che ci circonda attraverso l’integrazione di questi sensi con le funzioni sensoriali quali possono essere la temperatura, l’equilibrio, il dolore, il tempo, la propriocezione.
C’è mai capitato di domandarci come il nostro organismo sia capace di “sentire” la sua posizione, di adattarla, orientarla rispetto a quello che ci circonda e di conseguenza modificando la tensione, l’estensione dei muscoli ed anche la posizione delle articolazioni?
Ebbene questa domanda non è altro che la definizione stessa della propriocezione, il senso della posizione.
Alla base di questo fine meccanismo c’è l’azione integrata di diversi tipi di recettori e dell’organo dell’equilibrio.
I recettori si trovano nei muscoli, detti fusi neuromuscolari, nei tendini e nelle articolazioni e sono collegati al midollo spinale che converge le informazioni ai centri del cervello specializzati come il tronco encefalico e cervelletto.
Per regolare poi la tensione muscolare interviene il riflesso miotattico che lavora in contrasto alla forza di gravità.
Il movimento si articola però anche di eventi di accelerazione e decelerazione delle componenti del corpo che devono essere controllate per non perdere l’equilibrio. Interviene quindi l’apparato vestibolare che ha sede nell’orecchio interno e che è responsabile del senso dell’equilibrio.
Il corpo adatta la postura e i movimenti attraverso le informazioni che derivano dalle percezioni dell’organo di senso che è formato da tre canali ossei che partono da una unica struttura a forma di ampolla detta utricolo.
Tutte le componenti sono tappezzate da cellule dette sensoriali che hanno il compito di percepire le correnti generate dai movimenti del capo che producono endolinfa, il fluido specializzato di questi canali.
Secondo lo studio della City University of London pubblicato sulla rivista Jama Ophthalmology, dopo vista e udito, il senso considerato più importante dalle persone è sorprendentemente l'equilibrio.
La ricerca ha visto coinvolto un campione di 250 adulti del Regno Unito, a cui è stato chiesto di stilare una classifica dei sensi gli uni rispetto agli altri, in ordine decrescente. Dai risultati al primo posto della classifica dei sensi più importanti c'è la vista e al secondo l'udito.
Con molta sorpresa l'equilibrio è ritenuto il terzo senso più importante, prima quindi di sensi più "tradizionali".
La domanda sorge spontanea, come mai si preferisce l’equilibrio?
L'evidenza scientifica dimostra che problemi di equilibrio possono diventare un fattore cruciale nel peggiorare la qualità di vita, tenuto conto dell'importanza dell'equilibrio per gli spostamenti e le attività giornaliere.
Siamo, quindi, soliti pensare che esista un "ordine di preferenza universale" per i sensi umani che colloca al primo posto la vista e a seguire gli altri.
E se ci stessimo sbagliando?
Ci viene incontro ancora una volta lo studio pubblicato su PNAS, secondo cui questa regola e classifica non è valida per tutti e soprattutto non lo è ovunque nel mondo.
Ad influenzare la gerarchia della percezione non sono tanto fattori biologici tipici dei sapiens, quanto elementi culturali, dunque variabili.
La popolazione degli Himba, ad esempio, sono dei pastori nomadi della Namibia.
Questi hanno l’abilità di notare dettagli in una scena con una destrezza che non è riscontrabile tra gli occidentali perché hanno sviluppato maggiormente questo senso data la necessità della conta del bestiame.
Ecco dunque spiegato come mai i sensi non sono universalmente validi ma riflettono la cultura e le tradizioni di appartenenza.
Esiste un tratto in comune: per tutti l'olfatto è universalmente il senso più difficile da descrivere a parole.
Si tratta di un senso "muto" per le civiltà moderne ma un gruppo di cacciatori-raccoglitori australiani di lingua Umpila ha dimostrato il contrario riuscendo a descrivere con grande abilità gli stimoli odorosi.
Nel nostro mondo digitale, guidato da vista e udito, dovrebbe tornare utile riaffacciarsi agli altri sensi e soprattutto guardare a culture diverse dalle nostre che vedono nelle cose semplici gli elementi guida per la comunicazione e la percezione del mondo. Lasciamo per un attimo ciò che fino ad ora abbiamo appreso e immergiamoci in un viaggio alla scoperta di noi stessi e di quello che ci circonda attivando tutti i nostri sensi anche quelli più primordiali.
In questo periodo pandemico diventa una vera sfida quella di confidare nei sensi. Abbiamo dovuto rinunciare al tatto, alle strette di mano, gli abbracci che hanno da sempre rappresentato elementi fondanti nella vita dell’uomo.
Ci siamo dovuti proteggere preservando l’olfatto con l’uso di mascherine che schermano piccoli piaceri derivanti da poche particelle circolanti nell’aria che descrivono quegli odori che ci legano a ricordi indelebili.
Sono proprio la medicina d’urgenza e coloro che si spendono in prima linea contro il SARS-CoV-19 che cercano la cura nei sensi.
L’udito e la vista sono inderogabili.
Le parole in una conversazione stabiliscono il legame tra curanti e persone in cura.
Il parlato richiede l’ascolto e a sua volta necessita della vista per sondare lo stato d’animo di colui che riceve l’informazione.
Sebbene il volto sia deturpato e nascosto dietro la mascherina, la comunicazione visiva costituisce il ponte essenziale nel rapporto di cura.
E se il contatto fisico in queste circostanze deve essere messo in quarantena, almeno il “tatto” come carezza dello spirito e rispetto, può sempre essere praticato.